PHOTOS de VENISE et de FRANCE
  ECOUTER  Souvenirs du Friul (en français)

TOUS  LES  TEXTES

 

 

SOUVENIRS  DU  FRIUL

 

La diffusione di Internet ha cambiato molto i comportamenti umani, dando la possibilità di comunicazioni più immediate, aprendo scambi con persone di luoghi lontani, ritrovando e instaurando rapporti vecchi e nuovi, diffondendo notizie e commenti in maniera celere.
Una sera, utilizzando il computer per le mie ricerche,
sgarfant su Internet, ho trovato nel sito www.altritaliani.net un testo in lingua francese dal titolo Souvenirs du Friul scritto da Serge Bassenko e Eléonore Mongiat. Mi ha subito colpito la freschezza e l'originalità del racconto e, grazie al richiamo al sito degli autori www.lupusae.com, l'ho subito visionato per intero.
Devo dire che ho trovato un sito ricco ma discreto, in cui traspare riservatezza e per niente celebrativo, infatti, non troverete nessuna foto dei due autori. All'interno ho scoperto una vasta e interessante raccolta di testi e foto che consiglio di consultare. Ho preso contatti via e-mail con la sig.ra Eléonore e dopo vari scambi epistolari, ho pensato di proporle la pubblicazione di alcuni testi su
Il Barbacian. Alla risposta, subito positiva, i contatti si sono fatti più ravvicinati e telefonici. Ho subito instaurato un rapporto di amicizia che mi ha stimolato a cimentarmi nella traduzione del testo francese. Il racconto, che qui propongo, è il risultato di un singolare lavoro di coppia realizzato durante un viaggio alla ricerca delle radici: protagonisti sono Eléonore (Nora), francese con origini friulane (a fevela il furlan di Cievolis e Sequals) e Serge (Tola), francese con la Russia nel sangue. È un vero e proprio lavoro a quattro mani, se fossimo nell'ambito sportivo in un campo di tennis, diremmo 'di doppio'. Al tentativo di avere notizie per proporre una piccola biografia, ho ricevuto come risposta-proposta questo testo di Serge, eloquente e che parla più di tante citazioni:

"Spesso ci si preoccupa di sapere cosa uno ha o non ha fatto. Ma, mi domando, le azioni rivelano veramente una persona?
Per un creatore, quello che conta, è quello che lui porta dentro e ogni tanto esce.
Per un uomo, quello che conta, sono gli amici che si è fatto e che ha servito.
Per il resto, sì, ho studiato, letto, interrogato gli uomini e la natura, sì, ho lasciato la mia attività professionale per fotografare Venezia e la campagna francese e per scrivere 19 romanzi, l'opera teatrale Antigone e dei pensieri sulla vita.
Se volete conoscermi veramente, guardate le mie foto e leggete i miei scritti: è lì che mi troverete."

Claudio Petris






CIASASOLA





– Oh, che bel cesto!

– È un grande cesto che si mette sulle spalle e serve per trasportare l'erba dei prati, mi risponde Nora, da noi, par furlan, si chiama cos. È un sistema di trasporto molto pratico e, anche se il carico è pesante, non fa male alla schiena.

Siamo nell'estate mille novecento ottantasette, sono in Friul (regione di origine di Nora e che si trova a nord/est di Venezia) in una borgata molto vicina al paese di Casasola, par furlan Ciasasola. Di quello che era una borgata, ora restano soltanto case vuote e muri di pietra.

Nora è friulana, furlana come dicono qui. Io sono russo e abitiamo assieme a Versailles. Nora mi ha invitato a passare l'estate da lei, o meglio dai suoi genitori che abitano a Sequals, vicino a Spilimbergo, Spilumberc in furlan.

Nora è salita su per la scala in pietra di una delle costruzioni, al primo piano che è utilizzato come fienile.

– Tola, vieni a vedere! lei mi chiama.

Nel fienile c'è un gran mucchio di fieno con una forca piantata sopra.

– Nessuno abita più qui, ma ci vengono ancora e la casa non è abbandonata, osserva Nora.

Noi usciamo dal fienile e guardiamo la forca che sembra dirci: "Voi potete andare via tranquilli, io resto qui e tengo d'occhio la casa."

Davanti a noi un grande prato a ridosso della montagna. Di fatto, noi ci siamo già in montagna. Siamo a cinquecento metri di altitudine e duemila misura il monte di fronte a noi: qui la montagna è ripida e s'innalza velocemente.

Attraversiamo il prato che va verso la montagna. In fondo si vedono delle altre case, o anche delle stalle, o tutte e due assieme. Quattro case attaccate. Forse la più bella è quella a sinistra. Mi domando: è possibile parlare di bellezza là dove non c'è più vita? E qui, se gli abitanti sono partiti probabilmente per non ritornare più, ne resta uno che rimarrà per sempre, è la vita secolare di queste case.

Ritorniamo alla casa che ho appena descritto. Cos'ha di particolare? Non grandi cose, ma tutto sembra fatto per farti sentire a tuo agio. Una scala di pietra che sale al piano dove c'è l'abitazione, un pianerottolo che collega le varie porte, una pensilina di protezione per quelli che ci abitano. Al piano terra ci sono due porte piccole e un'altra pensilina, un po' più piccola. Ai giorni nostri, pensate che ci siano molte nuove case che si prendono cura dei loro abitanti?

E le case vicine? Anche loro hanno molte comodità e può essere che ad altri piacciano più che a me. Penso sia una questione di gusti personali.

Un po' più in basso a destra, un ruscello. Qui l'acqua non manca. Un ruscello che scorre gioioso saltellando sui sassi che ne costituiscono il fondale.

In mezzo alla calura del sole estivo, ci sorprende l'ombra fresca di questo posto. L'erba è folta, di un bel colore verde, soffice e dolce come un tappeto. Siamo poco lontani dal paese ma qui si sente solamente il brusio dell'acqua che scorre e il cinguettare degli uccelli, e ci si ritrova improvvisamente nascosti in mezzo alle montagne, circondati dallo stormire del fogliame.

Noto che il legno delle porte non è mai stato dipinto, né sono stati spianati i grossi sassi bianchi dei muri e le belle tegole rotonde del tetto cantano dall'alto. Un noce è cresciuto a ridosso della casa, la rinfresca con la sua ombra e gli regala i suoi frutti. Qui tutto sa di buono: l'acqua, la terra, i fiori, le erbe, gli alberi.



CIASASOLA, un altro giorno





Lungo giro per le strade di montagna, valli profonde e cime incoronate di alberi, valli una diversa dall'altra, con vette che ci sovrastano e sembra che una ci voglia minacciare e un'altra ci voglia invitare. Gita durante la quale il Friul entra nel mio cuore. Sì, perché è il Friul dal quale Nora ha ricevuto la vita.

Ciasasola! Senza che ce ne accorgessimo, la strada montana ci ha condotto in questo posto. Perché non fermarci nuovamente? Scendiamo dall'auto e continuiamo a piedi. Breve sosta nel fienile che abbiamo visto la prima volta. In un angolo, sono sistemate delle belle fascine. Vedo anche una botola sul pavimento. Nora mi dice che si apre per far cadere il fieno vicino alle mangiatoie e così, senza fatica, poter dar da mangiare agli animali.

Mi siedo nel fieno. Nessuna poltrona può paragonarsi alla deliziosa sensazione che provo. E quest'odor soave che non conoscevo... Nora è venuta a sedersi accanto a me.

Riattraversiamo il grande prato. In fondo, le case sono ancora lì. La strada è tranquilla, la luce del sole è dolce in questo fine pomeriggio. Le case, che ora mi sono familiari - con la loro scala di legno per salire al primo piano, il bel tetto con i coppi rotondi e rosa, le pesanti pietre d'angolo -, cospargono la strada avvolta dai profumi delle piante e del fieno. La montagna è lì davanti a noi, con i suoi tappeti erbosi che si infilano tra gli alberi. E al lato di una curva della strada, vigila un piccolo oratorio, dalla grata arrugginita.

Un prato scende fino a dove crescono fitti gli alberi, e le montagne si appoggiano sopra, in una leggera foschia.

In mezzo al prato non si cammina, quanto meno si gironzola. Si raccoglie il fieno per l'inverno. Le mucche avranno fame e l'erba non crescerà più sotto la neve. Quindi, al lavoro!

Il carro attende di essere caricato. La raccolta è già iniziata e il fieno viene ammucchiato sul carro. Una donna sopra il carro, con i piedi ben piantati, sta disponendo il fieno che un uomo robusto le passa caricandolo. L'uomo, con la sua forca in mano, prepara, una dietro l'altra, le prossime inforcate. È Nora che mi ha insegnato questo termine. Dove il fieno è ancora sparso a terra, un uomo e una donna lo raccolgono con un grande rastrello. Il rastrello accumula il fieno rimasto a terra, e all'uomo con la forca, non gli resta che piantarla nel mucchio che è stato fatto, e buttare il fieno sul carro dove la donna sta aspettando per sistemarlo.

Lavoro noioso, monotono, gli stessi gesti si susseguono. Guardiamo senza stancarci. Seguiamo l'azione, come davanti a una scena di teatro. L'azione? Sì, ce n'è una, in cui i personaggi attendono il finale, senza che la loro attenzione si rilassi. Però lo conoscono, il finale, lo conoscono da sempre. E noi, io e Nora, restiamo affascinati. Perché? Quale è dunque la storia che abbiamo davanti ai nostri occhi? È la storia degli uomini.



ZOUF





Una strada sterrata parte dal villaggio di Staligial per arrivare a quello di Zouf. È stretta e sterrata, non riusciremo a passare con l'auto.

- Perché vuoi che si passi con l'auto? mi sorride Nora, negli anni in cui la gente se ne serviva non c'erano auto!

- È lontano il borgo?

- Guardando la mappa, un chilometro.

- Non è molto lontano, ma per le provviste...

Lei sorride ancora:

- Si camminava, qui; e d'altronde, a Versailles, il mercato non è più vicino.

Il percorso è difficile.

- Forse con una bicicletta...?

Lei scuote la testa, dubbiosa:

- Troppi dossi ed è molto tortuosa...

- Hai ragione, e poi ci sono delle pietre che ostacolano il passaggio.

La strada passa attraverso i boschi. È… meditativa; fa venir voglia di arrivare al borgo.

- Coloro che venivano dovevano amarla, dice Nora.

Il percorso non è completamente dritto, gira, gira... E io osservo:

- Credo che segua il terreno; altrimenti sarebbe stato più difficile tracciarlo.

La strada si avvicina a una piccola collina.

- Dalla mappa, è Zouf.

Entriamo nel paese.

- Paese? nota Nora, ci sono solo tre case.

- Cinque.

- Come vuoi; ma non c'è nessuno.

- Con la strada sterrata, non mi meraviglio.

- Salve!

Chi ha parlato? Un uomo, piuttosto piccolo, è uscito da una delle case, quella in fondo. Un Romano... Che ci parla in latino! La mia conoscenza del latino non è molto buona, confido che quella di Nora sia migliore.

- Bundì, gli risponde Nora.

Bundì? Non conosco questa parola latina. Ma ora l'uomo ha cominciato a parlare una lingua... Ah, sì! è il furlan. L'ho già sentito, ma mi è difficile seguire la conversazione... soprattutto a questa velocità. Se fosse italiano, potrei anche farcela, Nora me l'ha insegnato. D'altronde, lei è una professoressa di francese, italiano, latino, e anche d'inglese. E io, non sono nemmeno insegnante di russo... gli dò però qualche lezione di russo... Con le sue capacità linguistiche, lei capisce già le parole russe meglio di me!

- Ah... on est bien, ici!  [“Ah... si sta bene qui!” - Tutto il resto della conversazione prosegue in francese (NdT).]

L'uomo si è rivolto così a me, in un buon francese, prendendo un respiro profondo.

- Oh, sì! Veramente bene! È molto bella, la vostra regione!

L'uomo mi ha guardato e mi ha sorriso con modestia.

- State sistemando la casa? gli ha chiesto Nora.

- Sì... Oh! Ma non per viverci sempre. Ho intenzione di tornare qui di tanto in tanto, l'estate...

Continua, dopo aver girato lo sguardo verso la casa:

- Ho vissuto qui quando ero piccolo; è la mia casa... ora lavoro a Milano, qui non c'è lavoro. Però ho sempre pensato di ritornare.

- Qui vivono altre persone?

- No, io sono l'unico; se ne sono andati tutti, tanto tempo fa.

Chiedo:

- Come fate per trasportare...?

- Il materiale? Lo porto sulla mia schiena, sacchi di cemento, mattoni, attrezzi, tutto.

Ha accompagnato la sua risposta con un sorriso come per dire: "Come si può fare diversamente?"

Gli ho augurato buona fortuna. Lui mi ha guardato con una leggera sorpresa, e mi ha sorriso.

Siamo usciti dal… paese, abbiamo fatto un giretto nei dintorni. Sul lato opposto a quello da cui siamo arrivati, c'è una valle profonda.

- Hai visto...?

Interrompo Nora:

- Il lago che è sulla mappa.

- Sì, possiamo andarci un altro giorno, oggi è tardi.

- Va bene.

Per un bel po' restiamo a contemplare il panorama in lontananza, sopra la montagna di fronte a noi dall'altra parte del lago, anziché una casa isolata, protetta nell'incavo creato dai due dossi della nostra montagna, mentre la brezza accarezza le erbe molli che corrono sul pendio e scintillano al tramonto.

Sulla nostra sinistra, un'immagine curiosa: sembrava che la montagna stesse scivolando a valle. Di sicuro è la pendenza, il fianco, ma l'impressione resta, dovuta probabilmente a questa specie di coperta che costituisce un prato liscio, dove nulla, nemmeno la terra, sembra poter trattenersi dal cadere, o meglio dal scivolare. Verso la cima della montagna, la pendenza è più dolce. La terra sta forse cercando di risalire? No, ovviamente. Ma la sensazione è questa. Una cortina di montagne come un palcoscenico. Eccoci arrivati in cima. Una grande, grande casa sta di fronte a noi, tutta appuntita. No, non è una casa, è un monte che è appuntito. È forse la montagna delle illusioni? O siamo noi che sogniamo? E poi, la foschia che allontana l'orizzonte...



STALIGIAL





- Oggi dove andiamo?

- Se vuoi, andiamo al lago vicino Zouf? risponde Nora.

- Non siamo lontani dalla scuola di tuo bisnonno, vero?

- Sì.

- Buona idea; il posto è tranquillo e il lago bellissimo.

Nora ha dispiegato una mappa:

- C'è solo un sentiero, la macchina non passerà.

- È molto lontano?

- Passando per Staligial, un quarto d'ora circa.

- Andiamo a piedi!

- Va bene!

Ormai le strade di montagna, un po' alla volta, ci stanno diventando familiari. Siamo circondati dalle montagne.

- Possiamo uscirne?

La mia domanda sorprende Nora:

- Uscire dalla montagna?

- Sì. Mi rendo conto che la domanda è stupida, ma se dimentico...

Non so come continuare. Nora mi suggerisce:

- Il nostro tempo?

- Sì, come se fossimo lì senza sapere da dove veniamo. Le montagne...

- Sono come un mondo che non ne permette altri? È questo che vuoi dire? mi domanda Nora.

- Sì. Se non si sa nulla, le montagne sembrano non fermarsi mai.

- Sì, tutto intorno a noi, ovunque guardiamo, le montagne non finiscono mai.

Arrivando vicino a Staligial, cominciamo a intravedere le prime case. Le abbiamo già viste andando a Zouf, ma senza farci ritardare nel paese. Questa volta, passeggiamo un po' dopo aver parcheggiato l'auto.

- Qui c'è gente, osserva Nora, ecco una vecchia scala di legno che servirà ai residenti per salire sul fienile.

- Sì; forse è vecchia, ma io non avrei paura di salirvi.

Tuttavia, non avendo motivo di salire, non saliamo.

- Hai visto il negozio di fiori?

Nora si guarda intorno sbalordita:

- Un negozio...?

Allora mostro la scala:

- Lì, sotto la scala!

Nora sorride:

- Non credo però che li vendano!

Grandi piante di fiori sono cresciute sotto la scala di legno, rendendo l'illusione... se aiutate un po'!

- Ed ecco un altro negozio di fiori! Essi sono più piccoli, ma altrettanto belli, esclama Nora.

- E questa è una vetrina.

- Il muro? È una bella vetrina.

Mi avvicino al muro, raccolgo un fiorellino bianco:

- È per te!

Nora ha messo il fiore nella cintura… e mi ha abbracciato.

Continuiamo nella passeggiata per le stradine del borgo. Scale, ce ne sono dappertutto, e non solo quelle che portano ai fienili. Il paese ha scelto la posizione del versante della collina, e la pendenza è ripida. Così, di volta in volta, le scalinate sostituiscono le strade. Saliamo per una delle scalinate in pietra.

- È ben curata, dice Nora.

Alla scalinata successiva, io commento:

- Questa, non è utilizzata da tanto tempo. Guarda, è sommersa dalle foglie.

- Questo è il più bel tetto del villaggio! dice Nora, mostrandomi una casa dal tetto molto ordinario.

- Che cosa gli trovi di...?

Lei mi interrompe:

- Guarda qui sopra!

Alzo gli occhi. Il tetto è sempre... Ma non è... Rispondo:

- Hai ragione, questo è il più bel tetto del mondo!

Il tetto? Questo non è un tetto. È la montagna, che si è posata sulla casa. Semplice illusione? Probabilmente. Ma per una persona che abita a Versailles, la montagna è già un'illusione.

La solita casa con fienile.

- Solita? rileva Nora, ci sono due livelli, uno sopra l'altro, e una staccionata che serve da parapetto.

- Due fienili, allora?

- Penso di si… Guarda, c'è del fieno all'interno!

- Guarda!

Abbiamo esclamato contemporaneamente.

- Sembra un coss appeso sulla schiena della casa!

- Per fortuna che non è appeso alla mia schiena! esclama Nora, sarebbe troppo pesante.

Mi chiedo che cosa c'è nel coss.

Nora sorride:

- Ci siamo noi due.

Le sorrido.

Credo sia necessaria una spiegazione. Non si tratta di un vero coss, ma, ancora una volta, compare solo nel nostro immaginario. Si tratta di una stanza che è sospesa in aria e che spicca dalla casa. Cosa vi devo dire! Non ho mai visto una cosa del genere, neanche Nora.



SILISIA





Siamo arrivati al lago di Ciase Selve, formato dal torrente Silisia, che abbiamo già visto quando eravamo a Zouf. Faccio alcuni commenti a Nora su questi pochi giorni trascorsi in Friul:

- Ho visto solo due paesi - dico paesi per comodità - ma l'impressione che ho, è che sono dei luoghi che attendono che delle persone vi vengano ad abitare. Un paese non può fare altro che proporre quello che ha. Per quanto riguarda le persone che ci vivono, la vita dipende da loro stessi. Gli uomini che ci ho visto? Sono quelli del momento attuale, è inutile parlarne per avere un'idea del paese attraverso i secoli. Potrei dire come io, e te, potremmo viverci, e quale posto sceglieremmo. Ciò che ho visto mi sembra ci soddisfi entrambi. Ma tutto dipende anche da coloro con i quali dovremo passare la nostra vita.

- Questi paesi mostrano una vita che oggi non esiste più e che per certo ci sarebbe piaciuta, anche se è stata una vita molto dura e austera. Le persone che vediamo oggi non assomigliano a questo modo di vivere, vivono ciascuna per se stessa, e la loro vita non dipende da chi vive accanto a loro. Sarebbe possibile, credi, di sognare la nostra vita in questi posti?

- Allora, perché venire qui, se questa vita non esiste più?

- Noi vivremmo circondati dai resti di una vita vera, che non esiste altrove.

- Intendi dire questa vita qui, altre ne esistono altrove.

- Sì, esistono altre vite, ma non sono la stessa cosa, e forse noi non le conosciamo.

- Ma perché venire a vedere i resti di questa vita?

- Perché ci piace, e ci sentiamo bene.

- Ma noi non pensiamo di venire a vivere qui.

- Chi lo sa?

- Fra qualche giorno torniamo a Versailles; la nostra vita è lì.

- La vita non finisce necessariamente in un futuro prossimo. Ma forse non torneremo mai più.

- Ma allora, perché venire qui? cosa vuoi che io cerchi?

- Sapere quale era la vita delle mie origini.

Rifletto:

- Questo è quello che ho capito, ed è per questo che sono venuto; la tua vita mi interessa.

Nora non risponde. Riprendo:

- Quindi, continuiamo; guarderò e ti dirò quello che sento.

- Grazie.

Continuiamo. O meglio restiamo dove ci siamo fermati, sulla riva del lago, che guardiamo muoversi con il leggero vento. E i boschi, e le montagne che ci circondano, per noi, solo per noi.

Alla fine del lago, s'innalza un sentiero, che si fa strada tra le montagne. Alcune case, una vicino all'altra; non ci si deve perdere in montagna.

La strada comincia a salire, a salire sempre di più. Ci accompagnano piccole rocce, coperte di foglie, coperte di muschio. Del muschio che si addormenta sotto il sole, delle foglie che si estendono sulle rocce che hanno scelto, nel fresco nato dal torrente. Una grande roccia, dritta come un muro. Alcune piante vi hanno attecchito sopra. Eccone una, come non ne ho mai visto prima, a modo di getto d'acqua che cade da tutte le parti. E tra le rocce, quasi ruggendo, scorre un torrente tumultuoso. L'acqua s'infrange contro gli scogli franati in mezzo alla corrente, sprizza come schiuma, pare ribollire nel passare tra due rocce, poi si placa nel fondale piano. A volte si trova un po' di terra su una roccia, e una piccola pianta lì vi attecchisce, quasi a pelo d'acqua.

In questi luoghi sperduti, piante sconosciute dal mondo cavalcano rocce stregate. Là in fondo, dietro al fogliame, una presenza sta per sorgere. La luce diffusa del sole penetra a malapena e vela i fondi misteriosi.



CIEVOLIS





Arrivando sul posto, ci imbattiamo in una montagna ripida. Ai piedi della montagna, alcune case isolate di contadini. Che ci abiti qualcuno qui, o sarà solo per il lavoro? Per lo meno, raccolgono il fieno per gli animali. Una grande porta, attorniata di pietre bianche. Dietro la porta, il fieno, ammassato. Lo vediamo perché il muro, a fianco della porta, non c'è più. A chi chiedere il perché ? non c'è nessuno. Com'è che portano dentro il fieno? Una scala è appoggiata alla porta. Si passa di qua. Perché la scala? perché la porta non è a livello del suolo, ma lassù. "Un fienile, piuttosto", suppone Nora.

Una piccola cascina, come a Ciasasola. Non è veramente la stessa. Le pietre sono più semplici, più povere. Sicuramente si lavora anche bene, ma la vita degli uomini è la stessa che laggiù?

Ripartiamo. La strada è tortuosa. Prendiamo un sentiero che sale al di sopra della strada. C'è un motivo. Sostiamo.

- Vedi ? mi domanda Nora.

È difficile non vedere. Dunque guardo:

- È tuo nonno?

- No, mio bisnonno.

- Era la sua scuola?

- Sì, è lui che l'ha fondata.

- Non è molto grande.

- C'erano pochi scolari; gli altri bambini erano nei campi. E non ci sono nemmeno molti paesi attorno.

La scuola è solitaria lungo la strada di montagna. Sull'ingresso della scuola, un nome: Mongiat Eliseo. È il nome del bisnonno. Dietro, un'ampia valle, poi la montagna. La scuola sembra aspettare tristemente.

- Non so neanche se aspetta ancora qualche scolaro, mi dice Nora.

Ci pensiamo sopra un momento. Nora continua:

- È bello avere in famiglia qualcuno che ha dato i propri beni per istruire la gente del suo villaggio: è una cosa gentile. Il paese è duro, con i soldi guadagnati col sudore, avrebbe potuto farne di cose...

Un po' più avanti, saliamo per una stretta valle rinfrescata da un ruscello, dall'umidità delle erbe e dalle ombre incombenti della montagna.

- Questo piccolo ruscello si chiama Inglagna, m'informa Nora.

È venuto giù da una specie di cerchia di montagne, poi, avvicinatosi agli uomini, si è un po' chetato. Ora scorre tranquillo e canta con la sua vocina chiara. Ci avviciniamo per far amicizia. I raggi del sole ancora vivo lo rischiarano improvvisamente, trasformando il ruscello in oro scintillante. Nell'acqua limpida, una cascata di pepite brillanti e luccicanti davanti ai nostri occhi increduli. Dei brividi d'acqua fanno scorrere linee d'oro sul fondo, l'acqua scolpisce dei gorgoglii che avvolgono i sassi, dei vortici hanno dipinto come un bel quadro a colori pastello. L'acqua scorre libera e si diverte, trasparente e gioiosa, offrendo i suoi tesori, incurante di gloria, ai pochi abitanti rimasti - seppur li guardano.

- Quanti corsi d'acqua vivono come questo, sebbene nessuno lo sappia, e scompariranno senza che nessuno li veda? Perché è importante? Esistere è sufficiente? mi domanda Nora.

Io non ho saputo dirglielo, e ho guardato tremolare l'immagine dei ciottoli sotto il sottile strato d'acqua. E voi, avreste trovato una risposta?



FRISANC





La strada è sempre quella delle montagne, siamo nel paese delle montagne. Le Alpi Giulie. Prendono il nome da Giulio Cesare. Come d'altronde tutto il Friuli. Forum Julii. Le terre di Giulio Cesare.

Ci stiamo avvicinando a Frisanc, nei pressi di Ciasasola. La montagna si perde nella nebbia. Ma si rialza e ricade vertiginosamente, come scossa da un terremoto. Striature di calcare quasi verticali sulle pareti, contorte dalla mano di un enorme mostro, che ha martoriato la terra. Una montagna che supera però raramente i duemila metri, ma si vedono solo burroni, pareti, picchi e torrenti precipitati giù. Paese di terremoti veri e propri.

Poco prima dell'abitato, una casa isolata. Come capita spesso qui, una cascina piuttosto che una casa. Sempre come a Ciasasola, solo un po' più grande. Solida, sopratutto, i terremoti non l'hanno danneggiata. Grosse pietre, ben ordinate. Fieno, come al solito. Fascine. Non c'è nessuno, le persone che vi abitano sono di sicuro nei campi. Tuttavia, qualcuno è rimasto per custodire la casa. È seduto al piano superiore, e ci guarda dall'alto. È un gatto, un vecchio saggio, magro, con la testa un po' china, gli occhi rattristati e senza illusioni. È seduto all'ingresso della porta del fienile per completare le sue osservazioni, si è alzato con grazia ed è scomparso.



OMBRENA





Una passeggiata ci porta a un villaggio incastonato tra due dirupi. Un precipizio di fronte, un ripido pendio di dietro. Attraversiamo rapidamente il villaggio. Una mezza dozzina di case fatte di sassi d'un bianco latteo, recuperati nei torrenti, così hanno spiegato a Nora. Niente di particolare da dire. Da queste parti, le case sono molto simili. In un prato pendente fino ad una casa, la brezza fa gonfiare il bucato appena lavato e steso su una corda ad asciugare. Osservo una cosa però. Le case si sono attaccate l'una all'altra, quasi a formare un baluardo contro il precipizio. Dei muretti di sassi, sempre uguali, su cui vivono in pace piante e fiori, aggrappati alla terra che si è annidata un po' dappertutto nelle fessure.

- Com'è ripido, questo versante! mi dice Nora, indicando la montagna sul lato opposto del precipizio.

Gli propongo:

- Vuoi che saliamo?

- Perché no? ma non sarà facile!

- Aggrappiamoci agli alberi.

- Dai, andiamo! Chi vivrà vedrà!

E aggiunge:

- Da lassù la vista deve essere bellissima.

La cosa non è facile. Aggrapparsi ai rami degli alberi, sì; ma sorreggersi... E, compiuto un passo, bisogna poi trovare il ramo successivo. Quello superiore, e non quello più in basso, ovviamente. Ah, ecco! finalmente arriviamo a una quota ragionevole. Cosa significa ragionevole? Andateci anche voi e capirete subito.

- Oh! Guarda la montagna, di fronte, esclama Nora.

Dall'altra parte della valle scoscesa, una montagna di gesso sembra ribollire dalla rabbia con alberi sparsi che rigonfiano le sue pendici. Schiaccia i prati sottostanti, come per sbarazzarsi delle ridicole casette furlanes che hanno avuto l'impudenza di arrampicarsi qua e là. Però l'aria è calma e serena, nulla si muove o trema; la montagna è lì da migliaia di anni e le case da chissà quanti decenni. Ci sono alberi da frutta, prati, una vita tranquilla di campagna. La montagna sembra piuttosto proteggerli.

Il paesaggio si è animato. Almeno vicino alle case. Un uomo, vestito da contadino, prosegue lungo la salita. Delle capre lo accompagnano. Per dire il vero, le capre lo precedono. Camminano lentamente, al ritmo dell'uomo. Mi stupisco:

- Niente le trattiene; perché non scappano?

- Conoscono troppo bene il loro padrone e preferiscono stare con lui piuttosto che perdersi. Sembra che vadano d'accordo tra di loro. Forse temono ciò che non conoscono.



PIELUNC





Pielunc. Come indica il nome in furlan, ci troviamo ai piedi di una montagna. Tuttavia, siamo già saliti su colline abbastanza alte.

- Ferma! mi dice Nora.

Credo di aver visto anch'io ciò che ha visto lei.

- È un vero e proprio tappeto! esclama Nora con ammirazione. Non si vede nemmeno il terreno, da quanto i fiori sono fissi.

E che fiori!... Ce ne sono talmente tanti che non saprei descriverli tutti, ce ne sono fin troppi. Anche perché non me ne intendo di nomi di fiori. Poco o nulla. Ma sì, ecco delle margherite, tutte gialle, circondate da petali bianchi.

- Ma no, le margherite sono più grandi e hanno la parte centrale della corolla meno gonfia, mi corregge Nora. Questi sono fiori di camomilla!

- Che sapienza!

- Lo sai che amo la camomilla...

- Lo so, codesta bevanda orribile; è per questo che non li conosco!

E poi tanti fiori di tutti i colori, di colori pastello, che né io né Nora conosciamo. Sono piante flessibili e basse; un piccolo cardo, non più alto dell'erba, è sbocciato allegramente coi suoi fiori viola pallido. Ce ne sono anche alcuni che hanno voluto viaggiare - oh, non lontano! - si sono appoggiati su di un muretto, intento a riparare chissà cosa.

Più avanti, la strada attraversa una linea ferroviaria.

- Hai visto? Le rotaie sono tutte bianche; non come quelle di Versailles, osserva Nora.

- Sì, ma non sono le rotaie...

- Sì, sì, volevo dire...

Rido :

- ... i sassi intorno alle rotaie; scherzavo!

- Ah, cosa vuoi, io non sono forte in matematica come te!

- E io, non sono un'erudita letterata come te!

- Beh', in ogni caso, i sassi...

- ... vengono dai torrenti.

- Come hai fatto a indovinare, io non l'avrei mai pensato!

Ci sorridiamo allegramente. È bello camminare con la donna che si ama.

- E che ti ama, conclude Nora.

Ora saliamo più in alto. La montagna si impone, ricoperta com'è da fitte foreste.

Alla nostra sinistra, vedo una strada sterrata che sale capricciosamente. Per dire il vero, è piuttosto un sentiero di capre, che passa tra un muretto a secco di grosse pietre e una piccola scarpata di terra mista a sassi. Gli alberi crescono sui bordi, e anche di qua. Le ombre delle foglie, i raggi del sole che filtrano attraverso gli alberi, il terreno roccioso ed erboso creano un'impressione un po' irreale, o da fiaba; come un sentiero incantato.

- La salita è dura, bisogna salire di sbieco, osserva Nora.

- Guarda in fondo! C'è anche una scalinata dove sbocca il sentiero.

- Non è fatta solo per gli uomini, ma anche per l'erba.

- E siccome questa non ha alcuna fretta, si ferma a lungo, a lungo su ogni gradino.

Passiamo davanti a un praticello. Un carro, caricato a metà di fieno, attende in mezzo al prato.

- È lei che il carro sta aspettando, mi dice Nora.

Lei? si tratta di una contadina, non troppo grande, assai robusta, ma forte, energica. Ben piantata sul terreno, con la gamba sinistra in avanti, spinge con tutta la forza delle spalle e della schiena, la sua forca in un covone di fieno. Un covone fatto così come viene, senza pretese artistiche. Sarà questa la ragione per cui sono belli questi covoni? Sarà questa la ragione per cui è bella questa contadina?

Un po' più avanti, nel bel mezzo dei prati, ma ancora vicino alla strada, una casa. È un po' più grande di quelle di Ciasasola. Come al solito, una bella scala di pietre dove abitano le erbe; un fienile, lassù; un pianerottolo dal quale si entra nel fienile. E qualcuno ci sta proprio entrando, nel fienile, attraverso la grande porta d'ingresso lasciata aperta. È una pianta grande e alta. Ma di fieno, non ce n'è, il pianerottolo non c'è più, i gradini della scala di pietre non portano da nessuna parte. La casa è abbandonata. Ma a me e a Nora ci pare d'intravvedere ancora le persone che vi abitavano e che vi lavoravano, attraverso ciò che hanno lasciato dietro di loro.



POZZIS





Verso nord, entriamo veramente nella montagna. L'alta montagna, dura, quella con cui non si scherza nei giorni di tempesta e di neve. La montagna tutta nera di pesanti abeti, la montagna che non si può attraversare senza pagare il tributo della fatica.

Sì, noi viaggiamo in una bella macchina, seduti in posti confortevoli, con il riscaldamento se necessario. Ma come facevano gli uomini di una volta, quelli che avevano bisogno della montagna per vivere...?

Per noi, escursionisti, questa montagna è già da spavento, dove si ergono muraglie vertiginose, da cui fuoriescono rocce aguzze, dove forse si nascondono, e dove si nascondevano sicuramente, bestie temibili. Queste montagne, inesorabili, mostruose, schiacciano gli scarni villaggi e le misere costruzioni degli uomini; sono così nere e offuscate che assomigliano alla notte e alla morte.

Quando si è lassù, si ha la sensazione di non poter mai più tornar giù. Non per noi, certamente, con questa bella strada che ci indica dove andare. Lasciamo stare la macchina. Laggiù in fondo, lontano lontano, appena visibile attraverso gli alberi, un piccolo ruscello. Non lasciatevi ingannare, s'ingrossa rapidamente quando ci si avvicina, e diventa un torrente impetuoso che sembra voler distruggere tutto al suo passaggio. Ed è proprio quello che fa, facendo rotolare le pietre che si staccano dalle montagne.

E le valli che si susseguono durante la nostra passeggiata, sono tutte così lontane, così misteriose, così scure, come lo sono le montagne stesse.

La nostra strada ci porta davanti a una minuscola cappella, che curiosamente fa sosta in un praticello, con le sue tre piccole finestre a sesto acuto e la sua campana malinconica che vorrebbe chiamare non si vede proprio chi. Scendiamo in una valle. Un villaggio, ai piedi delle montagne, su un piccolo spiazzo d'erba, che lotta contro l'avanzata del bosco. Prima di arrivarci, passiamo in un cimitero. Cimitero senza tombe, abbandonato. Come facciamo a saperlo? Ce lo indica un cancello sormontato da una croce. Il cimitero è piccolo. Su un muro, una targa di legno, con delle scritte ormai cancellate. Su un altro muro, una specie di scatola di legno, dove si vedono ancora due lumini che non servono più da tanto tempo. Le pietre dei muri sono regolari, ben sistemate. Quasi piatte, sormontate da una fila di pietre tutte piatte. Alcune piccole erbe, incastonate nelle pietre dei muri, sono gli unici esseri viventi in questo cimitero senza morti. Sull'altro lato del cimitero, il paese, con la sua chiesa non più grande di una casa e il suo piccolo campanile romanico dalle belle aperture. Su un lato, un tappeto d'erba alta accarezza il pendio fino agli abeti; sull'altro lato, l'erba è stata falciata e accumulata in piccoli covoni; due grandi case sorvegliano il podere, il bosco e la montagna cominciano subito dopo.

Eccoci in paese. Non vediamo nessuno. Il paese è abbandonato, anche lui? Ci sono però i piccoli covoni che abbiamo visto arrivando. Ma chi li ha fatti potrebbe venire da fuori. E questa casa, tutta rovinata, su questo piccolo spiazzo coperto d'erba? Eppure ci sono altre case, cinque o sei, intorno al piccolo spiazzo. Ma non c'è nessuno.

- Ma sì, c'è qualcuno, esclama Nora, guarda in fondo!

Sì, in fondo, ci sono anche due abitanti; due abitanti al femminile, per la precisione.

- Hai visto le due capre, presso la casa? Il paese vive ancora.



FRASSANEIT





Lungo la Miduna corre il sentiero che, dopo un'ora e passa, porta ad alcune case. "Lì c'è la culla della famiglia di mia madre", mi ha informato Nora. Lo prendiamo. Il sentiero è piuttosto stretto e segue le curve del fiume, che scorre tra due monti ripidi.

- Mi hanno raccontato che la bisnonna andava in paese a piedi, circa tre ore andata e ritorno, una volta alla settimana e con qualsiasi tempo, per fare la spesa di zucchero, farina, pasta… Portava tutto sulla schiena, nel coss. Figurati che per di più, lavorava a maglia per tutta la strada, tanto per non perdere tempo!

- Sì, non è la vita di Versailles…

Dopo un quarto d'ora, scorgiamo, a lato del sentiero, una croce, solitaria, conficcata in terra. Non c'è nessun cimitero vicino. Ci fermiamo. Nora fa un piccolo cenno con la mano verso la croce:

- Mio bisnonno è caduto lì, nella Miduna, una sera che pioveva.

Il sentiero corre davanti a noi, a fianco della montagna. La Miduna scorre accanto a noi, più in basso. Noi avanziamo, essa indietreggia. La sorgente è davanti a noi, laggiù in fondo. Non andremo fino là. Non c'è molta acqua nel fiume, siamo in estate. L'acqua scorre tra le rocce, è d'una limpidezza meravigliosa, con delle vasche di un bel color azzurro o smeraldo. Vi si riflette il cielo. La terra ha voluto far visita al fiume. Nel precipizio, si è avanzata come un promontorio, e un alberello vi è cresciuto e sta ad ascoltare il fiume. Un po' più in là, un altro albero, ancora più piccolo, ha stabilito la sua dimora nel bel mezzo della Miduna. Si è fissato su una grossa roccia, e adesso, osserva l'acqua scorrere attorno a sé.

Una grande casa, sulla nostra destra, appoggiata alla montagna.

- Guarda l'iscrizione sulla casa, mi dice Nora.

Guardo. "Facchin".

- È il cognome della mamma, m'informa Nora.

Mentre faccio il giro della casa per osservarne le pietre da vicino, una vecchia è saltata fuori dal bosco, col suo coss sulla schiena, pieno di erbe e di foglie della montagna. Si è fermata di colpo, fissandomi, e ha fatto svelta il segno della croce. Poi, si è avvicinata a Nora a piccoli passi frettolosi, con il suo coss sulla schiena, e le ha bisbigliato all'orecchio, gli occhi commossi e la voce ardente: "È il Cristo?" Può darsi che con la mia statura alta, i capelli e la barba bianchi, si possa intravvedere una qualche somiglianza, forse. Ma Nora le ha sorriso con gentilezza, e le ha detto: "No, no, non è il Cristo, no, è un amico." La vecchia l'ha guardata in fondo all'anima, e Nora ha insistito: "È un uomo, non è il Cristo." La vecchia ha risposto con la voce seria: "Sì, perché… non si sa mai", e dopo avermi guardato per l'ultima volta, se n'è andata. Ci ha dato da pensare, a me e a Nora, sulla fede degli esseri umani, quelli che aspettano un altro mondo, e gli altri.

Dopo una decina di minuti, sbocchiamo in un prato abbastanza grande, stretto tra il fiume e la montagna e formando un circo. No, non un circo, un circo. Già, sembra la stessa cosa, ma non lo è, per niente!

- Va bene, taglia corto Nora sorridendo, vedo che tocca a me spiegare. Del resto, si trova in tutti i libri di geografia.

Taglio corto a mia volta:

- Pista circondata da gradinate, protetta da costruzione muraria o da telo specifico a forma di tendone, dove si producono vari spettacoli.

- Caspita, se fossi stata a conoscenza che il mio amico era un dizionario portatile…! salvo che hai scelto male la parola nel dizionario.

E lei a fare questa dotta citazione:

- Valle di montagna che si va allargando e assume la forma di un cerchio.

- Ebbene, vieni al circo con me!

- Ci vengo volentieri, lo spettacolo è grandioso.

Di fronte a noi, una montagna, dura, massiccia, ripida, segreta. Un'ondulazione del terreno, a metà pendio. La indico a Nora:

- Se il nemico viene dalla valle, ci si può nascondere lì, e aspettare, o fuggire dietro la montagna.

- Avresti fatto un buon Facchin, mi sorride Nora.

Irrompendo alla nostra destra, un torrente impetuoso. Saliamo un po'. Un ponticello in legno permette di attraversarlo senza bagnarsi… e di andare a nascondersi, con mucche, galline, maiali - che ne so io? - nella fortezza, cioè la montagna. E il torrente? Ne parlo a Nora:

- Qui, installo un impianto idroelettrico, ed eccoti la luce, il riscaldamento…

- Chissà che bellezza per il panorama selvatico del posto!

- Lo installo molto più in su, e non lo vedrai nemmeno, ah!

- Sì, là dove non c'è che un filo d'acqua.

- E chi te l'ha detto, ci sei stata lassù?

- A casa, lo sanno tutti che c'è meno acqua in alto che giù da basso.

- Basta moltiplicare il numero degli impianti per il rapporto della portata del fiume in alto e in basso.

- Oppure si può decidere di non girare mai la testa da quella parte, che ne dici?

- Ebbene, giriamola verso la Miduna, presso la quale puoi vedere queste vecchie case, case di pietre con il fienile naturalmente, dove abiteremo noi!

- Ah, magari fosse vero, amore mio!



MONT DA TOP





Questa mattina, io e Nora, siamo usciti a fare un po' di spese a Sequals.

- C'è stato un bel temporale ieri pomeriggio sulla Mont da Top, mi dice Nora mentre camminiamo sulla piazza grande.

- La…?

- Guarda la montagna, tutto in fondo!

- Sì, la grande montagna; è quella?

- Sì. Quando sono a Sequals, io sto sempre a guardare quella montagna. Se è avvolta nella nebbia, vuol dire che non è piovuto da tempo, e…

Nora accenna alla montagna:

- Ti pare lontana?

- Sì, certo che lo è… ma è molto strano, mi fa l'impressione di essere molto vicina. Che sciocchezza, vero?

- No, affatto. A me pare che sia lì, davanti a me.

- È vero; guardandola più a lungo, si vede ogni dettaglio, le rocce, gli alberi, e pare ancora più vicina…

- La pioggia pulisce l'aria…

- È per questo che la si vede così bene.

Nora riflette:

- C'è un detto furlan

Si interrompe un momento:

- Mont vissina, ploia lontana.

- Purtroppo, il mio furlan è insufficiente.

- "Quando la montagna è vicina, la pioggia è lontana."

- Vuoi dire che se è piovuto, è poco probabile che piova di nuovo l'indomani.

- Qui, le piogge sono pesanti. Piove spesso, è vero, ma quando una pioggia è passata, e che la montagna è vicina, bisogna aspettare un po' perché ricominci a piovere… Oppure, la montagna rimane lontana nella nebbia, e allora, il tempo si è guastato, e può piovere di nuovo molto presto.

Guardo ancora la montagna:

- Vuoi che ci andiamo questo pomeriggio?

- Volentieri, la montagna è bella e l'aria è leggera.

Ci avviamo nel primo pomeriggio. Saliamo un bel pendio. A Solimberc ritroviamo la Miduna. La seguiamo su una strada piana fino a Midun, dopo aver attraversato una ferrovia, tutta vestita di pietre d'un bianco luminoso che, come hanno detto a Nora, vengono dalla Miduna. Esclamo improvvisamente:

- Guarda! una meridiana.

- È magnifica! che bel stilo in ferro battuto!

Dopo aver attraversato una via di botteghe, e che dà voglia di vivere lì, riprendiamo la nostra strada, che adesso sale forte, con tornanti stretti. Sulla sinistra, una strada sterrata. Ma non è come quelle che siamo abituati a vedere, è larga e in perfette condizioni. Ci si va come su una strada asfaltata. Mi fa un'impressione curiosa, questa strada. Né strada, né sentiero. Direi quasi, ma credo sia ridicolo, un viale in una tenuta. Non so dire altro.

Il viale continua a salire, sebbene più piano. All'orizzonte, sulla cresta selvaggia e deserta che è apparsa, esseri fantastici spiccano sul cielo. Sì, ho lasciato parlare la mia immaginazione. Ma è così sorprendente per uno di Versailles come me, che spero di essere perdonato. Gli esseri fantastici, che camminano nel cielo, sono solamente mucche. E perché "sono solamente?" Perché le mucche non sarebbero degli esseri fantastici per noi uomini? Ci nutrono col latte destinato ai loro vitellini, ci nutrono con il loro corpo. Beh'?

- Questo viale è così piacevole che…

- È il paesaggio che è piacevole, mi interrompe Nora; ci fermiamo per fare una passeggiata nei prati? sono così invitanti!

Eccoci nei prati.

- Non ho mai visto tanti fiori in un prato!

- E così diversi…

- Non ne conosco nemmeno uno.

- Neanch'io.

Camminiamo attraverso… dei fuochi d'artificio, delle ghirlande da sposa, delle palle di Natale, della polvere d'oro o di rosa, più in là le orme leggere di un angelo in un seminato di puntini azzurri e bianchi…

- Non è… Sono tutti diversi, commenta Nora; qualcuno è cresciuto più in alto degli altri.

- Si direbbe che un fiorista abbia scelto i fiori.

Nora fa no con il capo:

- No, un fiorista sceglie ciò che piace; qui, sono i fiori stessi che hanno scelto di venire.



ARZENE





Oggi io e Nora partiamo per l'Arzene, un fiumicello di montagna. Prendiamo la strada dei colli, per poter contemplare i paesaggi lontani che amiamo così tanto. Lasciate le ultime case dietro di noi, eccoci chiusi tra grandiose muraglie e davanti a valli vertiginose. In una di esse, un fiume si apre una via.

- Secondo la mappa, è l'Arzene, mi informa Nora.

Fa caldo, e la piccola spiaggia dell'Arzene è gremita di bagnanti venuti a scaldarsi al sole mentre gli altri sguazzano nel fiume. C'è molta gente, grandi e piccoli. Di gente, ne vediamo abbastanza a Versailles, e allora io e Nora, decidiamo di risalire il fiume verso la sorgente per ritrovare un po' di quella calma che ci piace tanto in queste zone montuose.

La strada si alza al di sopra del fiume che non riusciamo sempre a intravvedere attraverso gli alberi. Dopo un bel po', uno scorcio ci mostra un posto appartato e tranquillo.

- Vuoi che ci andiamo? mi propone Nora.

- Volentieri.

Scendiamo dalla macchina.

- Com'è lontano, il fiume!

Approvo:

- È giù da basso.

- Il pendio è veramente forte, non so se ce la faremo… È un vero precipizio!

Per fortuna, credo di aver intravvisto...:

- Guarda di là, tra gli alberi…

- Sì, mi pare di vedere degli scalini; andiamo!

Effettivamente, ci sono dei gradini. Ma…

- Sei sicura che ce la facciamo…?

Nora mi fa un sorriso allegro:

- Non sembrano più comodi che il pendio stesso. Andiamoci, vedremo!

Cominciamo a scendere la scalinata scavata nel terreno. Scendo per primo e metto la mano sul corrimano:

- Attenta, Nora! non è saldo!

- Sì, ho visto che è rovinata, non deve passare nessuno di qua.

Ebbene, sbagliavamo! Dopo esser scesi come potevamo fino all'Arzene, vediamo un po' più in là due robusti ragazzi dedicarsi alle delizie del bagno. E non un bagno qualsiasi; si tuffano a vicenda dalla cima di una roccia assai alta, il che ci fa pensare che questi ragazzi siano dei provetti tuffatori. E per di più, molto gentili, a giudicare dal loro cordiale ed energico Bundi! Ricambiamo ugualmente, le mie fresche nozioni di furlan permettendomi di capire questo "Buongiorno!" in quella lingua.

- A loro non farebbe paura la scalinata, commenta Nora.

Condivido:

- A loro la scalinata non serve, si tuffano direttamente dalla strada!

Lasciando i ragazzi ai loro esercizi, proseguiamo il nostro cammino lungo il fiume. L'acqua è calma, qui, nulla la turba. I furori delle onde sono più in giù, là dove i pendii sono maggiori.

Delle vaschette si sono scavate, abbastanza profonde per potersi tuffare dentro, come facevano i ragazzi un momento fa. L'acqua, limpida, di un delicato color ceruleo, ci lascia vedere i bei sassi bianchi che conosciamo bene. Delle piccole rocce sono venute a riposare nel fiume. Un po' più in là, le rocce, bianche e lisce, si sono elevate, e formano come una gola oscura dove l'Arzene sparisce a poco a poco. Ci sediamo su una roccia, e rimaniamo lì, a contemplare il fiume pacifico.

Nora interrompe i miei pensieri vagabondi:

- Ora ti leggo quel che ho scritto mentre guardavi l'acqua: "Acque lustrali, di una purezza soprannaturale, facendo luccicare al sole dei colori di rosa e di turchese, dei sassi di un bianco cremoso e dorato; si direbbe un dipinto, delle macchie colorate, lavate dal passaggio dell'acqua, da colate di vetro fuso. E laggiù, in mezzo alle rocce caotiche e biancastre, difformi, incomprensibili, un'acqua pura, pacifica e meravigliosamente trasparente, intatta, insensibile al mondo mostruoso che la circonda, si addentra e se ne va, senz'alcun mulinello, tale uno specchio."

- Io ho detto ciò che ho visto, tu hai detto ciò che hai sentito.



GEMONA





Io e Nora siamo a Glemone. In lingua comune, Gemona. Attorno a noi, non c'è niente. Niente di vivo. Macerie, niente altro. Si potrebbe dire che qui c'è stato un terremoto.

Si, è un terremoto sul serio, uno vero. Non è raro in Friul. I furlans sono abituati. Non direi che li aspettino… però… Quando avviene il terremoto, appena si è calmato sono già lì, i furlans, la pala, il piccone, il martello, la cazzuola in mano, per ricostruire.

E adesso, io e Nora siamo in una città nuova, che all'improvviso è apparsa davanti ai nostri occhi. Nuova per la costruzione, rimasta antica per la sua vita, la vita degli uomini, questi furlans che rifiutano di subire la sciagura, e lottano per combatterla, e vincerla.

Percorriamo le strade della cittadina. Le case sono chiare, i colori dolci, in armonia l'uno con l'altro. Ognuno è a casa sua, ma tutti vivono assieme.

- Oh, hai visto?

Nora mi ha mostrato… un sotoportego.

Una spiegazione però la devo dare. Quando eravamo tutti e due a Venezia, abbiamo visto delle specie di gallerie scavate sotto le case che consentono di passare da una via all'altra. A Venezia, lo spazio è misurato, e questo sistema consente di risparmiare suolo evitando di tracciare una strada. Insomma, la galleria è come una via al di sopra della quale si può abitare. In veneziano prende il nome di sotoportego, ciò che significa "sotto il pavimento".

- E qui, mi dice Nora, si chiama un sotpuarti.

Tutto è nuovo, tutto è pulito, i materiali sono moderni. Ma le case sono rimaste fedeli allo stile delle severe case di montagna di un tempo, ritte sotto i tetti profondi, come distribuite sul pendio, incastrate l'una con l'altra, con le alte finestre austere e prive di simmetria. Anche il suolo imita la ghiaia delle antiche vie. Ci si può ricordare della vita di una volta, qui.



UDIN





Eccoci nella capitale del Friul: Udin. Come me ne rendo conto, io, di Versailles? Io, abitando a due passi da Parigi? Alla modestia, credo, di una città che non si mette in mostra davanti al mondo. Non tenta, con artifici, di proclamare: "Vedete che città importante sono! Voi che passate, non mi valete!" Tutto qui è fatto per servire, non per brillare.

Sono entrato in una gran libreria del centro, presso il castello. Avevo bisogno di un libro che avesse in sé le risposte alle domande che mi sarei posto un giorno, senza che io sappia oggi di che cosa avrei avuto bisogno domani. Sapevo solo l'argomento generale delle mie curiosità, l'elettronica. Quante volte avevo già chiesto nelle migliori librerie parigine questo libro di cui ignoravo che solamente esistesse? La risposta si riassumeva sempre a: "Quando saprete cosa volete, tornate a trovarci!" E ciò, accompagnato per lo più da una smorfia che significava chiaramente: "Chi è dunque questo presuntuoso che viene a disturbarci per niente? Noi siamo gente seria, non abbiamo tempo da perdere in vaghe e sterili discussioni su un argomento che non è nemmeno correttamente definito! Libri sull'elettronica, ce ne sono degli scaffali interi; scelga e paghi! E se non è capace di trovare ciò che gli serve, non si aspetterà, dico, che lo troviamo noi per lui? Se viene qui per passare il tempo, questo ozioso, noi abbiamo altro da fare!" Certo, non era un'unica persona a dirmi tutto ciò, o a farmelo intuire, ma quasi.

Entro dunque nella libreria e, come al solito, sfoglio i libri sull'argomento. Come al solito, non mi convince niente. In francese, confesso a Nora la mia delusione. Una signora, che metteva in ordine libri sugli scaffali, è lì improvvisamente, e mi chiede in un francese corretto, cosa che sto cercando. Penso fra di me che, ancora una volta, risponderle non servirà a niente. Rispondo però, nel solito modo alquanto impreciso, e direi anche un po' negligente. A che serve, vero, insistere? La signora mi ha ascoltato senza una parola, e mi ha confidato: "Ho il libro che le conviene." Se n'è andata chissà dove, poi è ritornata con in mano un grosso libro dalla copertina bianca, mi ha fatto un sorriso e me l'ha porto. Un po' sconcertato, presi il libro, lo sfogliai rapidamente, scorsi degli schemi e dei commenti che non mi sembrarono indifferenti, ringraziai calorosamente la signora, e ce ne andammo via. Non ero nemmeno sicuro che il libro sarebbe stato di mia convenienza, è il tono rassicurante della signora che me l'ha fatto comperare. Sono passati gli anni; siamo nell'anno duemiladodici. E Nora lo sa che consulto sempre questo libro di cui non ho mai saputo fare a meno. Il suo misero stato testimonia senza ombra di dubbio che non sta in riposo sul mio tavolo di lavoro. Era quello lì, il libro del quale avevo bisogno.

A Udin, quello che conta è ciò che serve agli uomini.

È rimasto, nei nostri ricordi, il profumo raffinato di un'antica capitale.



NAVARONS





Andiamo da due prozie di Nora. Sono sorelle e vivono insieme nella loro cascina. Il villaggio non è grande, un centinaio di abitanti. Non è lontano da Ciasasola, per arrivarci bisogna salire. Dietro di noi, il paesaggio si estende fino in fondo, cime, foreste, valli. Una casetta. La porta è un po' sopraelevata dal suolo. Per entrare in casa, due scalini. I scalini sono in legno. Più in là, un cortile. Un grosso mucchio di letame. Sono sorpreso:

- Ma, è fieno!

- Qui, frumento, non ce n'è. Allora, si usa il fieno, mi spiega Nora.

Ancora un cortile. Una scalinata di legno che porta al fienile. Una scala di legno appoggiata contro il muro. Delle fascine sistemate con cura. Una ruota di carro, sempre in legno, sospesa a un chiodo. È quella che chiamiamo ruota di scorta in una macchina? Né Nora né io troviamo la risposta.

Eccoci dalle prozie, due zitelle. La conversazione non ha niente di particolare. Le cose di cui si parla quando non ci si vede mai, o quasi. Una delle prozie, la più vecchia, la più rigida, ci offre un bicchiere di China, specie di aperitivo a base di china. È delizioso. Nora vorrebbe prendere del latte da un vicino. L'altra prozia, dagli occhi acuti, le dà una bottiglia vuota. Nora e io andiamo dal vicino. Ci riempie la bottiglia. La bottiglia si spacca. Ci doveva essere qualche crepa. Il vicino ci chiede comunque il prezzo del latte.

Ripartiamo. Passando, vediamo uno sgabuzzino che serve da stalla al vicino. Diamo un'occhiata. Una mucca legata, immobile nell'oscurità, la testa inclinata verso di noi, ci guarda, implorante.



SEQUALS





(Foto Nora)



Sequals è un paese famoso in tutto il mondo. È da qui che sono partiti molti mosaicisti che hanno studiato quest'arte (come ha fatto anche il padre di Nora) alla scuola del mosaico di Spilumberc, alla scuele di mosaic, scuola che peraltro è nata a Sequals.

Il paese di Sequals ha un aspetto semplice: case non molto alte e tutte attaccate, due chiese, una grande piazza e un monumento ai caduti che funge da punto di ritrovo dei giovani del paese. Sempre al centro della piazza, altro punto di ritrovo è il bar.

I genitori di Nora abitano, a Sequals, un posto che sembra un villaggio fortificato. Le case sono disposte a rettangolo attorno a un cortile, di cui uno dei lati, in passato, era chiuso da un muro di cui oggi rimangono solo alcuni resti.

Ci sediamo a tavola per la colazione. Nora è in vena di ricordi:

– Papà è stato un degno figlio di questa terra, il Friul. Come quasi tutto il resto della famiglia è dovuto scappare dalla miseria. All'età di tredici anni, è partito a cercare lavoro in Francia, e non l'ho mai sentito lamentarsi. Suo padre, mio nonno, aveva lavorato nelle miniere di carbone del Belgio. I quattro fratelli di mia madre sono partiti con destinazione il Canada, l'Australia, l'Uruguay e la Francia. Le donne, invece, partivano per destinazioni meno lontane: Milano o al massimo la Francia. A questo proposito, dopo bisogna che ti racconti la storia di mio padre e di mia madre.

Mio nonno è partito per l'Austria, tutto solo, a nove anni. È rientrato qualche anno più tardi dopo aver fondato una sua impresa di trasporto di legna. Poi è ripartito, questa volta, per l'America, dove ha lavorato e, fino a quando è morto, ha sempre spedito i soldi alla moglie rimasta in paese con i figli. Il Furlan non ha paura delle avversità, e non si scoraggia mai.

Ritorniamo a papà. Ha imparato l'arte del mosaico alla scuola di Spilimbergo, Spilumberc in furlan. La tradizione del mosaico bizantino è continuata a Sequals, che è diventato, ormai da diversi secoli, il grande centro conosciuto nel mondo. Per realizzare le loro opere, da qui sono partiti molti Furlans, con destinazione il mondo intero: nei primi tempi furono i mosaici di Venezia e il loro restauro, e poi l'Opera di Parigi, New York, Montevideo, Montreal, Brisbane, ecc. I Furlans sono ordinati, pazienti e modesti.

L'odore intenso del caffè si spande nella stanza e il latte della mucca è schiumoso. Ascolto la mia amica che racconta con gli occhi vispi:

– Sai, il paese è diventato famoso per aver dato i natali a un campione mondiale di pugilato: Primo Carnera, che era un lontano cugino di papà. Questo campione è diventato una leggenda tanto che a Venezia pensano che tutti gli uomini di Sequals siano anormalmente grandi e forti. Papà ha comunque ereditato qualcosa da Carnera, perché mi raccontava che, quando era giovane, un carro caricato di fieno oltre il limite, con il peso aveva rotto una ruota e che quattro persone non arrivavano a sollevarlo per ripararla. Persa la pazienza, papà è intervenuto tutto solo e, piazzatosi sotto il carro, l'aveva sollevato con la sua schiena e aveva consentito la riparazione!

Nora sorseggia il suo cappuccino e abbozza un sorriso:

– Questo mi fa venir in mente un aneddoto simpatico. Papà amava molto giocare a calcio e lo sapeva fare anche bene tanto che il selezionatore della squadra dell'Inter di Milano gli aveva proposto di giocare nella sua squadra. Ma la mamma, che a suo tempo era la sua fidanzata, gli ha posto la seguente condizione: "Devi scegliere o giochi a calcio o mi sposi, io non voglio un marito che non sia mai a casa". E papà ha scelto la mamma, ed è grazie a questa scelta che io oggi posso raccontare questa storia. La gloria non basta a riempire la vita di un Furlan, ma una donna e dei figli sì!

– Prendi un po' di questo burro, gustalo e continua ad ascoltarmi, mi sorride Nora.

Obbedisco volentieri:

– Oh! È squisito!… Non ho mai mangiato nulla di simile.

– Si direbbe che ha conservato il profumo dei fiori della montagna con l'aggiunta d'una venatura di fresco e di piccante, non è vero?

Approvo:

– È consistente quando si taglia e tenero quando lo si mangia.

– È il burro delle mucche di Sequals, precisa Nora, quelle che pascolano in montagna o mangiano il fieno dei monti.

Nora pensa un momento e poi:

– Sai che, quand'ero piccola, mia zia aveva dodici mucche nella stalla, e la sua casa era vicina alla latteria sociale. Tutte le sere, per aiutarla un po', io portavo il latte alla latteria con un arconcello, il tinar, come lo chiamava mia zia. Era un pezzo di legno tondo e di forma curva, alle cui estremità si appendevano due secchi pieni di latte e la curvatura si adattava perfettamente alle spalle. I secchi erano pesanti, ma non si sentiva la fatica perché era tutta la schiena che sorreggeva. Mi piaceva portare il tinar. Il casaro prendeva i secchi, versava il latte schiumoso in un grande contenitore e pesava il latte su una bilancia a stadera, poi scriveva il peso su un piccolo libretto che io portavo con me. Era lui che lavorava il latte e che poi trasformava in burro e in forme di formaggio: il famoso Montasio, tanto gustoso.

Riprende:

– Proprio di fronte, c'era la fontanuta, una fontana da cui usciva un piccolo filo d'acqua fresca e chiara che sgocciolava assonnata in una piccola vasca di pietra, prima di scorrere nel paese, lungo la stradina… Mia mamma voleva che, tutti i giorni, venissi a prendere quell'acqua, perché l'acqua del rubinetto (che era stato installato soltanto da alcuni anni) non gli piaceva, mentre quella della fontanuta era buona. Ah, ne ho fatte di corse fino alla fontanuta!

Continuiamo la colazione senza fretta. Nora non si stanca… e neanch'io! Deve essere bello avere un paese che ti appartiene. Lei ricorda:

– Un piccolo prato di forma irregolare, con tutt'attorno gli alberi e i campi, alcuni ragazzi si divertono tirando calci a un pallone. È domenica pomeriggio. Si conoscono tutti. Gli amici sono venuti con le famiglie per incoraggiare i propri compagni, si entusiasmano e rimproverano i giocatori fallosi che replicano e gli animi si surriscaldano. Il sole inizia a calare, gli amici se ne vanno ridendo e il prato si svuota.

Le montagne, man mano che ci si avvicina, sembrano toccare il cielo. Amo scalare la collina a forma di gobba dove si appoggia la pretestuosa chiesa del paese, là dove pascolano le due o tre mucche del parroco. Cominciano lì le prime turbolenze del terreno che annunciano la catena di montagne innevate che innalzano le loro punte sullo sfondo. Dalla cima della collina del parroco, i capelli mossi dal vento, nel silenzio animato solamente dall'ampio respiro del vento e da qualche tintinnio di campanaccio, si è rapiti dallo spettacolo della pianura sottostante che corre, piatta piatta, a perdita d'occhio fino al mare, fino a Venezia. E se giriamo lo sguardo, i rigonfiamenti delle montagne s'ingarbugliano fino alle cime candide. Il posto si presta a sognare e a essere malinconici, fuori, come si è, dalla confusione e dai tormenti del paese. Tappeti esuberanti di fiori e di erbe sconosciute ricordano un mondo irreale e vergine.

Hai visto? La casa di mio padre è una specie di borgo fortificato che circonda il cortile e, dove termina una delle stradine del paese. Dietro la nostra casa, il ruscello della fontanuta che scende lentamente tra le erbe e i fiori gialli di cui non so il nome. Il rio separa il nostro prato dalla collina boscosa, dove si va a tagliare la legna per l'inverno. A lato della collina, c'è anche un sentiero dimenticato che s'inerpica sino all'altro versante; si perde fra le fresche erbe e i ciclamini selvatici dal profumo soave che sbucano all'ombra del pomeriggio. In cima, in mezzo agli alberi fitti, il vecchio torrione franato di un antico castello, di cui nessuno sa nulla, che continua a sorvegliare un mondo che ormai non esiste più.

Dopo aver bevuto il cappuccino e mangiato le tartine, Nora racconta ancora:

– Amo molto la piccola chiesa di San Nicolò. È l'esatto contrario della pretestuosa parrocchiale che, dall'alto, domina la pianura ed è piena di ori, di pitture e dall'alto soffitto. La chiesa di San Nicolò ha dato il suo nome al borc. Era questa la prima cinta del paese di Sequals posta in quest'angolo della piazzetta, cosparsa di sassi, della Miduna. Al centro è stata realizzata una fontana che schizza l'acqua dalla bocca di quattro teste scolpite e che è sovrastata da una rana di pietra. La piazzetta è chiusa dalle vecchie case e dagli orti e qualche bambino ci viene tranquillamente a giocare come fosse a casa sua.

Una specie di loggia costituisce la facciata: ci si siede all'ombra su un muretto sormontato da colonnette. Lì si chiacchiera, ci si raccontano le ultime novità e le barzellette che si sono sentite e si fanno i programmi per il pomeriggio. La chiesa è così piccola che c'è posto per solo poche persone, direi a misura del numero di abitanti del borc. All'interno si sente l'odore d'incenso e nella penombra salgono preghiere e pensieri commossi. I banchi di legno scuro hanno la patina del tempo.

Oltre il campanile, la mont da Top si allontana e si offusca quando è bel tempo, si avvicina e si ritaglia dopo la pioggia, estendendo la sua mole protettrice sul paese. Durante la giornata, le nuvole vengono da dietro la montagna ed evaporano prima del mattino. Chissà se oggi sarà bello?

Nora si scuote e mi sorride:

– Andiamo a fare una piccola passeggiata lungo la Miduna, vicino a Cuel, non ci metteremo più di mezz'ora.

È all'uscita del paese, si sfocia sull'immenso letto di sassi della Miduna scavalcato da un ponte.

– Ti ricordi, comincia Nora, il piccolo torrente di Frassaneit?

– Quello che aveva le acque trasparenti e di un colore blu verde così bello?

– Sì, vedi adesso cosa è diventato?

Un'estensione di sassi, lunga centinaia di metri, che forma dei mucchi, delle colate, delle isole; qua e là crescono anche degli arbusti.

Ammiro questo spettacolo grandioso.

– Nel passato, il fiume ha trascinato giù i sassi e le pietre dalla montagna, e nel corso dei secoli, li ha tumultuosamente sparsi in pianura.

– Sì, e oggi, se si vuole, lo possiamo attraversare a piedi, c'è solo un piccolo rio d'acqua che scende, il resto è captato da un canaletto artificiale.

Nora continua:

– I sassi sono bianchi perché il torrente si è mangiato le montagne costituite da calcare; sono questi sassi e queste pietre che sono stati raccolti e utilizzati per costruire le case e le strade. Ti posso dire, che quando ero piccola, il passaggio di un'automobile sulla strada bianca, faceva alzare una nuvola di polvere che saliva sino all'altezza del granaio. E quando noi bambini ci si divertiva a frenare con la bicicletta, si slittava per oltre un metro. Di conseguenza a Sequals, la capacità di andare in bicicletta consisteva innanzitutto nell'arte di fermarsi senza mettere i piedi per terra, come pure di correre sulla ghiaia senza tenere il manubrio con le mani.

Scendiamo sul letto del fiume giù dalle alte sponde coperte di erbacce. Guardando da vicino si possono scorgere dei piccoli sassi di tutti i colori: miele, dorati, castagni, blu, verde, azzurro, ruggine, neri…

– Sono gli stessi sassi che i bambini raccoglievano per fare i mosaici… sogna Nora.

 

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